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Il dono della presenza: la Pastorale “del dolore” di Don Mario nell’Ospedale San Giovanni Bosco

In questi giorni ho avuto l’opportunità di andare a far visita a Don Mario Tarallo nella cappellina dell’ospedale San Giovanni Bosco, ho fatto con lui una lunga chiacchierata, da cui sono scaturite queste righe:

Nell’ospedale San Giovanni Bosco ogni giorno si incrociano storie di sofferenza e speranza. In questo contesto difficile, la figura di Don Mario Tarallo, cappellano salesiano, si distingue per la sua missione: portare la presenza viva di Dio e infondere speranza in chi si trova a combattere la propria battaglia più dura. Con il sorriso sul volto, egli percorre ogni mattina i corridoi e le stanze dell’ospedale, avvicinandosi a chi soffre con gesti semplici ma carichi di significato.

Don Mario ha iniziato a comprendere la natura del dolore fin dalla sua infanzia. Orfano da piccolo, si poneva domande profonde, cercando risposte non solo nelle parole, ma anche nei gesti d’amore e nelle tracce di speranza che intravedeva intorno a sé. Era solito rifugiarsi in chiesa, attratto da quel silenzio che offriva una tregua dalla confusione del mondo. Proprio lì, cominciò a intuire che la sofferenza, sebbene difficile da accettare, poteva essere trasformata in un cammino verso qualcosa di più grande, verso Dio. Col tempo, capì che il dolore non doveva essere visto come una condanna, ma come un percorso che poteva portare a una maggiore consapevolezza e avvicinamento al divino.

Durante i suoi studi in seminario, Don Mario ha approfondito la teologia della sofferenza, dedicandosi a testi sacri e alle riflessioni dei filosofi cristiani. San Giovanni Paolo II è stato per lui un punto di riferimento con i suoi scritti sulla “Redemptor Hominis” e la “Salvifici Doloris”, da cui ha tratto la riflessione che la sofferenza, se accettata con fede, può avere un significato redentivo, unendo l’uomo alla passione di Cristo. Tuttavia, ciò che ha appreso non è rimasto confinato ai libri.

Nel 2004 Don Mario ha iniziato il suo servizio come cappellano all’ospedale Don Bosco di Napoli, dove ogni giorno incontra volti segnati dalla sofferenza. La sua presenza non è quella di un prete distante, ma di un pastore che conosce il peso del dolore e sa che, in certi momenti, le parole non bastano. Spesso è il silenzio condiviso, una preghiera sussurrata o una stretta di mano a offrire il conforto che nessun discorso potrebbe dare. Don Mario non promette soluzioni immediate o guarigioni miracolose: il suo obiettivo è far comprendere che anche nella sofferenza più grande, nessuno è solo e che, anche nel buio, c’è la possibilità di intravedere una luce.

Il suo approccio è radicato nella sua esperienza personale: sa che il dolore non può sempre essere spiegato o alleviato, ma può essere accompagnato, e proprio in questo cammino si può ritrovare un nuovo senso. Il suo lavoro non si limita a un accompagnamento spirituale, ma è testimonianza viva della presenza divina in mezzo alla sofferenza.

Nel contesto dell’ospedale, Don Mario si è impegnato a creare una “pastorale dell’accoglienza”, rivolta non solo ai pazienti, ma anche ai familiari e al personale medico. Ogni giorno affronta le sfide di un ambiente segnato dalla stanchezza e dall’incertezza. A chi lavora in prima linea e a chi è costretto a confrontarsi con diagnosi infauste o la perdita di un proprio caro, Don Mario offre la sua vicinanza, ricordando che Cristo è presente nelle ferite più profonde dell’umanità. La sua missione è quella di far sì che nessuno si senta abbandonato nella propria sofferenza.

Un momento particolarmente significativo è legato alla storia di Alessandro, un giovane la cui vita è stata tragicamente interrotta. Il ricordo di Alessandro e della sua famiglia è ancora vivo tra i reparti, diventando simbolo di una forza più grande: la potenza della condivisione del dolore. Ogni anno, nel giorno dell’onomastico di Alessandro o nella ricorrenza della sua scomparsa, la famiglia, i medici e Don Mario si ritrovano nella hall dell’ospedale per un momento di raccoglimento. La madre di Alessandro, nonostante la perdita devastante, è diventata un pilastro per altre famiglie che vivono il dolore. Con il suo esempio ha creato una comunità di preghiera, affetto e condivisione, mostrando come il dolore, se condiviso, può diventare più leggero. Don Mario riflette spesso su questa esperienza, ricordando che “quando la sofferenza è spartita, diventa più sopportabile, e che la gioia, quando condivisa, si moltiplica”.

Anche dopo molti anni di servizio come cappellano, Don Mario continua a essere un punto di riferimento per chiunque entri nell’ospedale. La sua esperienza gli ha insegnato che non ci sono formule magiche per alleviare la sofferenza, ma che il vero potere risiede nella semplice presenza. Ogni giorno, con il suo cuore aperto e la sua fede profonda, Don Mario continua a percorrere i corridoi dell’ospedale, portando con sé un messaggio di speranza: la presenza amorevole di Dio, che non abbandona mai chi soffre.

Ho la fortuna di avere don Mario come confratello della mia comunità e posso testimoniare la sua capacità di essere “portatore sano di gioia” e testimone soprattutto tra i suoi confratelli della bontà di Dio.
(don Fabio Bellino)

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