Educare è sperare
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Quando educare è sperare: le storie di Bruno e Maria

 

Ci sono professioni che vanno oltre il semplice lavoro: sono scelte di vita, impegni che nascono da una vocazione profonda. Essere educatore significa farsi carico delle speranze e delle fragilità di tanti ragazzi, accompagnandoli in un percorso di crescita che spesso parte da situazioni difficili. È un ruolo che richiede non solo competenze, ma soprattutto cuore, pazienza e la capacità di credere nelle persone, anche quando loro stesse faticano a farlo. La storia di Bruno e Maria è la testimonianza di quanto l’educazione possa essere un motore di cambiamento, per sé e per gli altri. Entrambi hanno vissuto in contesti complessi, ma hanno trovato nel sistema educativo salesiano un’opportunità, trasformandosi poi in guide per le nuove generazioni.

Bruno ha scoperto il suo talento educativo quasi per caso, grazie al servizio civile. Quell’esperienza lo ha riportato al Don Bosco di Napoli, un luogo che aveva segnato la sua infanzia e che, da adulto, è diventato la sua casa professionale. Maria, invece, ha trovato nella chiesa del suo quartiere il primo punto di riferimento e nel Don Bosco la conferma della sua vocazione. Due percorsi diversi, ma mossi dalla stessa passione e dalla stessa determinazione: essere per i ragazzi ciò che un tempo altri erano stati per loro.

Bruno è cresciuto nel “rione amicizia” un quartiere periferico, dove il destino sembra già scritto, e ha trovato una via diversa grazie all’oratorio del Don Bosco di Napoli, un luogo che è diventato la sua casa e il trampolino per un futuro che sembrava impossibile. La sua prima esperienza con l’oratorio è stata da bambino, quando suo padre, lo accompagnò per giocare semplicemente a calcio insieme ad altri suoi coetanei. Quei primi calci al pallone non furono solo un passatempo: erano l’inizio di un legame profondo con una comunità che lo avrebbe accompagnato e sostenuto nei momenti cruciali della sua vita. Durante l’infanzia e l’adolescenza, Bruno ha frequentato l’educativa territoriale, un servizio che lo ha accompagnato nella crescita, ma, in seguito, come molti adolescenti, si è allontanato dall’ambiente oratoriano, spinto da nuove frequentazioni e dal sogno di diventare calciatore. Quel sogno non si è realizzato, ma ha segnato il percorso che lo ha riportato al Don Bosco.
A diciotto anni, quasi per caso, Bruno ha deciso di fare il servizio civile. Non immaginava che quella scelta lo avrebbe portato a scoprire una passione e un talento per l’educazione. Ed è stato proprio il direttore della casa, una figura fondamentale nel suo cammino, a vedere in lui un potenziale straordinario, incoraggiandolo a usare la sua passione per lo sport ino strumento educativo per i ragazzi. Grazie a quell’anno di servizio civile, Bruno ha iniziato un percorso di formazione che lo ha portato a conseguire il diploma di operatore dell’infanzia e a lavorare in contesti difficili, come la casa famiglia “Il sogno” durante il periodo del Covid. Sebbene quell’esperienza fosse troppo intensa per la sua giovane età, gli ha insegnato il valore dell’empatia e della resilienza. Ma è al centro diurno che ha trovato il suo posto, un ambiente che sente perfettamente in sintonia con il suo modo di essere educatore: strutturato quanto basta per rispondere ai bisogni dei ragazzi, ma abbastanza flessibile per creare legami autentici.

Oggi Bruno non è solo un educatore: è un allenatore, un formatore di scienze motorie della scuola professionale del Don Bosco e un mentore per tanti giovani. Ha conseguito una laurea magistrale, un traguardo che non avrebbe mai immaginato di raggiungere senza l’incoraggiamento dei suoi educatori e dei suoi genitori. Bruno è un esempio vivente di come le opportunità e il sostegno possano trasformare una vita. Ogni giorno, nel suo lavoro al Don Bosco, vede, nei ragazzi che segue, il riflesso di sé da bambino: giovani con poche prospettive, ma pieni di potenziale. È questa consapevolezza che lo spinge a dare il massimo, a credere in loro come altri hanno creduto in lui.
Non ha mai dimenticato le difficoltà del suo percorso, ma nonostante queste, la sua empatia, la capacità di non entrare in conflitto e la determinazione nel superare i momenti di incertezza, sono state le qualità che lo hanno reso oggi un educatore straordinario. Dopo sette anni al Don Bosco, Bruno oggi guarda al futuro con soddisfazione e gratitudine. La sua storia è un messaggio potente per tutti: anche chi sembra “predestinato” a un futuro senza speranza può scegliere un’altra strada, se trova persone e luoghi capaci di credere in lui. Bruno è la prova che l’educazione non è solo un lavoro, ma un atto d’amore che può cambiare il mondo, un ragazzo alla volta.

Se la storia di Bruno è quella di un giovane che ha trovato nel Don Bosco la sua strada, quella di Maria è il racconto di una giovane donna cresciuta in un quartiere difficile, il “rione Berlingieri” che ha trasformato la sua esperienza in una missione educativa.

Maria è nata e cresciuta a Secondigliano, nel Rione Berlingieri, un luogo che nei primi anni 2000 è stato tristemente noto per la faida tra Secondigliano e Scampia. Gli anni della sua infanzia sono stati segnati dal ricordo della violenza della strada, in un quartiere che si spegneva ogni volta che risuonavano gli spari. In un contesto in cui le prospettive sembravano segnate, Maria ha trovato un punto di riferimento nella chiesa del quartiere. “È stata il faro della mia vita”, dice con convinzione. È lì che ha costruito legami, cominciato a scoprire la sua vocazione e avviato il percorso che l’ha portata al Don Bosco. A quindici anni, il suo parroco le propose di partecipare al corso di animazione salesiana. Da lì, la sua connessione con il Don Bosco di Napoli è diventata sempre più forte. È stato don Mario Delpiano, direttore di allora, a proporle di fare il servizio civile presso l’istituto, un’esperienza che ha segnato l’inizio del suo cammino come educatrice. Dal 2015 al 2016, Maria si è immersa nella realtà del Don Bosco, appassionandosi al sistema educativo salesiano. “In quei ragazzi rivedevo me stessa, i miei vissuti, le mie difficoltà. Mi affascinava il carisma salesiano, l’idea di educare con amorevolezza e vicinanza”, racconta. Dopo il servizio civile, Maria ha completato la laurea e, poco dopo, ha ricevuto una proposta che ha cambiato la sua vita: don Mario la voleva al Don Bosco, questa volta come educatrice della scuola media Valdocco. Gli anni successivi sono stati un turbinio di esperienze, tra storie difficili e successi educativi. “Ho visto ragazzi perdersi, ma anche rinascere. Ho conosciuto educatori straordinari, figure di riferimento che mi hanno insegnato cosa significa davvero essere un punto di riferimento per i giovani”, spiega. Col tempo, il suo ruolo si è ampliato. Dalla scuola media, Maria è passata a coordinare progetti socioeducativi, il centro diurno e, infine, l’Educativa Territoriale, di cui oggi è responsabile. Sono passati dieci anni dal suo primo ingresso al Don Bosco, eppure la sua passione non è mai cambiata. “Il lavoro educativo è fragile: puoi costruire tanto in mesi di lavoro e poi vedere tutto crollare in un attimo. Ma se anche solo un pezzetto del messaggio di Don Bosco resta nei ragazzi, allora abbiamo fatto la differenza”, racconta con determinazione. Il suo sogno per il futuro è chiaro: continuare a credere nei giovani, offrire loro opportunità e speranze, e far sì che il Don Bosco resti sempre un luogo in cui ogni ragazzo possa sentirsi accolto e valorizzato. “Forse siamo in pochi, ma siamo una possibilità per centinaia di ragazzi ogni giorno. E questo per me vale tutto”, conclude.

Le loro storie di Bruno e Maria si intrecciano nel quotidiano di una realtà complessa, fatta di successi e sconfitte, di giovani che trovano la propria strada e di altri che la smarriscono. Entrambi conoscono bene le difficoltà del loro lavoro, la fatica di costruire relazioni educative solide e il rischio di vedere crollare in un attimo mesi di impegno. Ma sanno anche che ogni piccolo cambiamento è una vittoria, che ogni ragazzo che sceglie di credere in sé è un motivo per continuare. Oggi, grazie alla loro esperienza e al loro instancabile lavoro e a quello di decine di educatori e volontari il Don Bosco di Napoli è più di un centro educativo: è un rifugio, una possibilità di riscatto, un luogo dove si impara che il futuro non è mai scritto e che, con il giusto sostegno, ognuno può trovare la propria strada. Perché educare non è solo insegnare: è accompagnare, credere, sperare. E Bruno e Maria ne sono la prova vivente.

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