Quando l'inclusione genera sicurezza: la storia di Ahmed, accolto dalla comunità del Don Bosco

In questi mesi ritorna molto spesso su tutti i canali di comunicazione il tema della sicurezza spesso collegato anche al tema dell’immigrazione. È certamente un tema molto sensibile che spesso divide i partiti e la società civile. Dal mio punto di vista questa tematica va affrontata non in maniera ideologica o ascoltando la cronaca nera, che purtroppo esiste, ma guardando alla realtà. Ed è proprio osservando la realtà che trovo importante condividere quanto in questi anni stiamo sperimentando nella comunità del Don Bosco in ordine al tema dell’accoglienza dei minori stranieri non accompagnati. Nel corso degli anni, abbiamo accolto più di 800 ragazzi provenienti da 32 paesi diversi…un autentico puzzle multinazionale! Le loro storie sono ricche di sofferenza, tragedia, ma anche tanta speranza. In questi anni abbiamo visto arrivare ragazzi impauriti da viaggi fatti di fatica, dolore, morte e sopraffazione, con occhi persi e una busta con dentro tutta la loro vita. È stato bello vedere man mano come attraverso gli strumenti basici dell’accoglienza e dell’inclusione – una casa in cui vivere, un educatore che si prende cura di lui, la scuola di italiano, un corso di formazione professionale – si aprissero ad una vita realizzata.  Sono la stragrande maggioranza i Minori Stranieri non accompagnati che lungi dall’essere un pericolo, sono diventati una risorsa per il territorio, per la società e per l’economia. Tra le tante storie che potrei raccontare mi soffermo su quella di Ahmed.

Ahmed è al Don Bosco da più di due anni ma per arrivarci ha dovuto affrontare un lungo e travagliato viaggio. La prima tappa dall’Egitto è stata Tripoli, dove ha vissuto l’esperienza della detenzione: un giorno si apre la porta della cella e viene portato con una Jeep a Zuara, dove lo attende il suo barcone.

Sbarcato a Lampedusa Ahmed si è allontanato dalla Sicilia per poi approdare, dopo varie vicissitudini, nella nostra comunità di accoglienza al Don Bosco.

Questi due anni per Ahmed hanno rappresentato un tempo prezioso perché ha potuto apprendere la lingua italiana, prendere il diploma di terza media, per poi continuare con la scuola superiore. Ahmed è di religione musulmana, frequenta la Moschea e rispetta le regole della preghiera quotidiana. É rimasto molto affascinato dalla figura di don Bosco, tanto da coltivare il sogno di diventare educatore proprio come don Bosco, e infatti ha già espresso ai suoi educatori la volontà, una volta conseguito il diploma, di frequentare un corso di formazione di animatore sociale. La storia di Ahmed, non rappresenta un’eccezione, infatti, proprio in questi giorni, 9 ragazzi della nostra comunità stanno svolgendo tirocini formativi presso aziende del territorio napoletano. Questi tirocini sono un autentico ponte verso l’inclusione sociale e l’autonomia lavorativa con l’obiettivo di accompagnarli nel delicato passaggio verso l’età adulta. Cuochi, pasticcieri, baristi, manutentori, questi ragazzi “venuti da lontano” stanno imparando mestieri, costruendo competenze e futuro, stanno diventando cioè cittadini di questa nazione. Questa è inclusione, questa è sicurezza, questa è civiltà.

Se invece li lasciamo a loro stessi, alla strada, alla disperazione, se li confiniamo in ghetti, questi ragazzi diventano un pericolo per se stessi e per gli altri. É per questo che la Chiesa e la Chiesa di Napoli, sono concretamente in prima linea per offrire opportunità di riscatto e di inclusione.